Viaggio in Myanmar (Birmania): cosa vedere e il nostro itinerario
Viaggio in Myanmar (Birmania). Quest’estate il mio ragazzo ed io abbiamo deciso di trascorrere le vacanze in Myanmar (denominazione ufficiale internazionale dal 1989 per unificare tutte le differenti denominazioni date dai vari Stati, come Birmania, in italiano e spagnolo). Tenevamo sott’occhio questa meta da un po’ di tempo, affascinati dal fatto che fosse una delle meno turistiche in assoluto, l’ultimo paradiso incontaminato del Sud-Est Asiatico. E ad aprile ci siamo finalmente decisi e abbiamo preso i biglietti per trascorrere qui le nostre vacanze estive, i primi 17 giorni di Agosto.
Finalmente riesco a condividere qui sul blog il nostro itinerario di viaggio, intenso e davvero appassionante!
Viaggio in Myanmar (Birmania): cosa vedere e il nostro itinerario
Yangon
Mingalaba Myanmar! La ex capitale ci accoglie il primo giorno di Agosto sotto una pioggia battente, che per certi versi rende l’atmosfera ancora più unica. Dopo un lungo volo dall’Italia (di cui vi racconterò nel dettaglio in un blog post a parte), raggiungiamo la prima tappa del nostro viaggio in Birmania ed anche il primo hotel. Il Novotel Yangoon ci accoglie con uno splendido benvenuto floreale sul letto e nella vasca da bagno, ma non solo: una graditissima selezione dei pokè bowl di uno dei loro ristoranti, specializzato in pokè di tutti i tipi… uno più buono dell’altro! Proprio quello di cui avevamo bisogno per riprenderci da 15 ore di volo!
Il primo giorno è stato completamente dedicato al riposo, e, alla sera, abbiamo deciso di concederci una bella passeggiata vicino al nostro hotel, dove abbiamo scoperto un caratteristico mercato notturno, tra bancarelle che vendevano ogni tipo di frutta e verdura e tantissime persone che mangiavano sedute intorno a tavolini di plastica colorata. Scopriremo poi essere la norma in Myanmar!
Il giorno successivo, nonché il nostro unico giorno a Yangon, prima di ripartire per girare tutto il Myanmar, siamo andati alla scoperta della città, capitale economica del Paese. La prima tappa è stata uno dei templi più importanti della Birmania, lo Shwe Dagon Pagoda. Shwe significa “oro”, infatti il tempio è completamente rivestito di oro. Incredibile! Ogni 5 anni viene chiuso affinché possano aggiungere altro oro, oro che viene donato dai fedeli buddisti nella speranza che le buone azioni di questa vita portino a condizioni e possibilità migliori in quella successiva. Attualmente il tempio è rivestito da 8 tonnellate d’oro, più centinaia i diamanti ed i rubini, per questo è diventato difficilissimo stimarne il peso.
Nelle foto mi vedete a piedi nudi in quanto in quasi tutti i templi buddisti è obbligatorio camminare scalzi e coprire le gambe, in segno di rispetto. All’ingresso vendevano dei bellissimi sarong colorati, così ho scelto di regalarmi questo bellissimo modello dorato!
Mandalay e Mingun
Il giorno successivo partiamo da Yangon e raggiungiamo Mandalay con un volo interno di circa un’ora e mezza: qui troviamo ad attenderci un bellissimo sole! Yangon si trova, infatti, molto vicino alla costa, quindi durante la Green season le precipitazioni sono piuttosto copiose; Mandalay invece, si trova al centro del Paese, e qui il clima è decisamente più secco e piacevole.
Dopo essere atterrati, andiamo diretti verso uno dei monasteri più famosi e grandi del Myanmar, il Mahargandaryoun Amarapura. Sono le 10:30 del mattino e i monaci sono già tutti in fila, in attesa che venga loro distribuita la razione di cibo quotidiana. Davanti ai miei occhi una fila interminabile di monaci di tutte le età: la tunica bordeaux, la testa rasata, i piedi scalzi, uno sguardo profondo e buono. I monaci non possono possedere nulla, al di là di 3 tonache, un rasoio, una tazza, un filo per l’acqua e una ciotola per le elemosine che chiedono ogni mattina, all’alba. Il pranzo è il loro ultimo pasto della giornata e viene consumato tra le 10 e le 12 del mattino. Dopo aver mangiato, tutti insieme tirano fuori le bacinelle e lavano i loro piatti, più simili a delle ciotole, e le pentole. Quasi il 90% dei birmani è di religione buddista e per le famiglie, in particolare per le più povere, è un grandissimo onore che i loro bambini maschi possano diventare monaci e seguire gli insegnamenti di Buddha. Tuttavia la scelta di diventare monaco non è necessariamente definitiva: nel corso della vita, infatti, i monaci possono decidere di cambiare il loro percorso, lasciare il monastero e addirittura sposarsi.
Altro tempio da visitare a Mandalay è il Golden Palace Monastery, completamente realizzato in legno teak intarsiato: una meraviglia!
Continuando il nostro tour di Mandalay, ci siamo poi spostati a Kuthodaw Pagoda: questo non è solo un tempio, ma è il libro più grande del mondo e contiene il canone buddhista scritto in lingua birmana. In ogni loculo è contenuta una pagina, ovvero una grande stele in pietra, e ci sono ben 730 loculi per un totale di 1450 pagine!
Il giorno successivo la nostra guida ha organizzato per noi una gita a Mingun, un piccolo paesino raggiungibile con una crociera di circa 45 minuti sul fiume Irrawaddi.
A Mingun si trova la campana suonante più grande del mondo e, i turisti, per sentirne la melodia, si divertono a percuoterla con un bastone di legno.
Sempre a Mingun si trova Hsinbyume Pagoda, il tempio che mi è piaciuto di più in assoluto. Imponente, completamente bianco, con la punta in oro: non ricorda anche a voi una bellissima nuvola? Per i Buddhisti, invece, rappresenta una montagna mitologica.
Sulla via del ritorno ci siamo diretti a U Bein Bridge per goderci uno dei tramonti più belli di tutto il viaggio. Questo è il ponte in legno teak più lungo del mondo, per quasi due km di lunghezza. I colori del cielo e le ombre sul ponte, dove le persone del luogo adorano ritrovarsi per passeggiare e stare in compagnia, rendono l’atmosfera davvero molto suggestiva.
Un altro luogo da non perdere se capitate a Mandalay è Mandalay Hill, la zona collinare della città da cui si può godere di una vista incantevole sulle innumerevoli pagode dei templi circostanti. Sono davvero tantissime: basterà affacciarsi per vedere la distesa verde da cui emergono le loro punte d’oro.
Nelle foto mi vedete indossare uno dei tipici cappelli birmani a punta in paglia, regalo di Manu, acquistato il giorno precedente a Mingun!
Bagan
Da Mandalay abbiamo raggiunto Bagan via ferry boat. Siamo partiti alle 7 del mattino e abbiamo navigato per oltre 9 ore, facendo una piccola tappa in un villaggio locale in cui la popolazione è specializzata nella creazione di bellissimi vasi in terracotta.
In questo villaggio c’erano anche alcuni bimbi che si sono divertiti a giocare a calcio insieme a Manu!
Dal fiume Bagan si riconosce subito: i suoi templi in mattoni rossi svettano dalle rive. Oltre 3000 templi in soli 42 km quadrati. Riuscite a immaginare la meraviglia?
A Bagan ho visto il mio primo mercato locale e ne sono da subito rimasta affascinata: l’atmosfera, i profumi delle spezie, gli sguardi delle persone, una culla creata con una rete e fatta ondeggiare dolcemente sopra le foglie di tè. Era per me la prima volta che mi imbattevo in un Myanmar così vero e così intenso.
Il giorno successivo ci rechiamo in alcuni villaggi vicino Bagan. Nel primo vive una famiglia che realizza tessuti, seguendo passo passo l’intero processo produttivo dal cotone grezzo al filato e infine al tessuto vero e proprio. Per realizzare una coperta impiegano circa due settimane di lavoro e la vendono ad appena 30 euro.
Il secondo villaggio si chiama Pakokku e qui viene prodotta la maggior parte del legno con cui si realizza il “tanakka”. In Myanmar è usuale vedere le donne e bambini con il viso colorato da una terra gialla, utilizzata sia come makeup sia per proteggere la pelle dal sole: questa si ottiene da un particolare tipo di legno, che viene reso polvere e utilizzato dalle persone nella loro quotidianità. Provarlo e farmelo applicare da una donna del luogo è stata un’esperienza davvero molto bella: non ero assolutamente abituata a questo tipo di trattamento quindi dopo circa un’ora l’ho rimosso in quanto sentivo la pelle del viso che tirava. Accanto al posto in cui vendevano il legno, c’era il camion che vedete qui sotto in cui stavano caricando le ananas per andarle a vendere ad un mercato vicino: non abbiamo resistito e ci siamo messi ad aiutarli!
Di Pakokku ricorderò per sempre i visi delle persone: sempre sorridenti e così incuriosite da noi, in quanto ancora poco abituate a vedere i turisti camminare tra le loro stradine.
Kalaw
La quarta tappa del nostro viaggio in Myanmar dista una mezz’oretta di volo da Bagan. E dall’aeroporto ancora un’ora e mezza di macchina, che abbiamo spezzato con una piccola tappa ad un nuovo mercato, un po’ diverso da tutti gli altri visitati fino a quel momento. Si tratta di un “5 days market”, un mercato che, ogni cinque giorni, si sposta in un luogo diverso. Credo sia stato uno dei mercati più colorati in cui sia mai stata e la cosa che più mi ha colpita sono stati i copricapo stile turbante a quadrettoni indossati dalle donne in questa regione del Paese.
A Kalaw soggiorniamo in un hotel situato su una collina, completamente immerso nel verde: le sue camere in realtà sono piccole baite realizzate completamente in legno. Siamo venuti qui per goderci una giornata di trekking in mezzo alla natura ma a causa di una caviglia un po’ dolorante non ho potuto unirmi a Manu in questa avventura che lo ha portato fino al “foot of Himalaya”, ai confini con la catena montuosa dell’Himalaya, da cui sorge l’Everest.
Nel pomeriggio abbiamo visitato le Pindaya Caves, che si trovano ad un paio d’ore di macchina da Kalaw. Si tratta di una grotta con più di 8 mila statue di Buddha realizzate in oro. Sono state scoperte da circa 300 anni: nessuno sa dire con esattezza chi le abbia portate lì e per quale motivo. Ma il risultato è davvero impressionante!
Lago Inle
Finalmente raggiungiamo uno dei luoghi più famosi di tutto il Myanmar, il Lago Inle, che dista un’ora di macchina e una di canoa da Kalaw. Una delle attività principali qui a Inle Lake è la pesca, per questo lungo tutto il lago è molto facile imbattersi in agili e simpatici pescatori che remano in una maniera assai particolare: in piedi sulla prua della loro barca, in equilibrio su un solo piede, mentre con l’altra si aiutano nel movimento di remare, pescare o coltivare i loro orti galleggianti. Le loro imbarcazioni ricordano le nostre gondole: sono affusolate e realizzate interamente a mano, intagliando il legno.
Qui ad Inle Lake le persone vivono e lavorano su palafitte sospese sull’acqua e le altre attività tipiche di questo territorio sono la realizzazione delle canoe e la lavorazione dei tessuti ricavati dai filamenti della pianta del fiore di loto, rarissimo e molto prezioso!
Anche l’hotel in cui abbiamo soggiornato durante i nostri giorni a Inle Lake, l’Amata Garden Resort, si trova lungo il lago, e questa è la nostra splendida camera con terrazza e vista panoramica!
Il giorno successivo, dopo 11 giorni di visita non stop, decidiamo di dedicarlo completamente a noi: una giornata di relax totale da trascorrere nella meravigliosa piscina del resort!
Loikaw
Sempre a bordo delle tipiche canoe di Lago Inle ci spostiamo verso una nuova destinazione. 5 ore di navigazione, tra nuvole, vento e pioggia battente (riparati solo da un piccolo’ ombrello) verso la sesta meta del viaggio: Loikaw. Durante il nostro tragitto, facciamo tappa a Shwe Indein Pagoda, attualmente in fase di restauro, ma comunque molto suggestivo.
Il primo giorno a Loikaw inizia con una visita al mercato locale dove assaggiamo i tipici pancake con cannella e cocco: squisiti!
La giornata continua con due ore di macchina, direzione Pampet Village, il villaggio dove vivono le “Long Neck Ladies”, le donne con il collo lungo. Una tra le più anziane, 67 anni, ci ha accolto con un enorme sorriso e ci ha permesso di entrare nella sua casa, regalandoci uno dei momenti più incredibili e commoventi di tutto questo viaggio. Grazie alla traduzione della nostra guida, ci ha spiegato che in questo villaggio era usanza per le donne indossare gli anelli al collo fin da bambine. All’età di 7 anni iniziavano a indossarne 7, raggiunti i 20 anni ne aggiungevano 20, per un totale di 27, che potevano essere aumentati fino arrivare ad un massimo di 32, per un peso di oltre 4 kg. Quando non riuscivano più ad aggiungere anelli piccoli verso la testa, iniziavano ad aggiungerne di più grandi verso le spalle, costringendole così ad abbassarsi. Pampet Village è uno degli ultimi posti al mondo dove si possono vedere le donne con il collo lungo che, attualmente, sono circa 60 e, tra una ventina d’anni, saranno destinate a scomparire. Questo perchè le donne giovani non si vogliono più omologare a questo costume in quanto le renderebbe discriminate e impedirebbe loro di andare a studiare nelle città o di viaggiare.
La domanda più frequente ricevuta quando vi ho parlato di questo villaggio è: ma cosa c’è dietro questa usanza? In realtà ci sono 3 diverse storie da cui si pensa sia nata la tradizione di mettere gli anelli al collo per allungarlo. La prima è che abbiano iniziato a mettere gli anelli per proteggersi dagli attacchi delle tigri che tantissimi anni fa vivevano in queste zone, la seconda è che venissero messi dai padri per proteggere le proprie donne e figlie dagli inglesi (si racconta che, quando gli inglesi colonizzarono il Myanmar, rapirono moltissime donne e quindi i birmani pensarono che con gli anelli le loro donne risultassero meno belle e, di conseguenza, appetibili), la terza è che venissero messi dai padroni per identificare i loro schiavi. Nessuno sa davvero quale di queste tre storie sia il vero motivo dietro a questa usanza così particolare.
Le “Long Neck Ladies” amano suonare, intagliare collane in bronzo e filare la lana creando tessuti bellissimi. Prima di andare via mi hanno donato un cerchio di bronzo, un portafortuna per tutte le mie prossime sfide. Non potevo desiderare un augurio migliore!
Altro villaggio che merita la visita è Daw Damagyi. Si trova a circa due ore di macchina, di cui una su strada sterrata, da Loikaw e qui, tra l’etnia dei Kayan, vivono le “Long Ears Ladies”, le donne con le orecchie lunghe, rese tali dagli orecchini molto pesanti che portano al fine di allungare ed allargare i lobi. Per visitare questo villaggio abbiamo dovuto chiedere un permesso speciale dieci giorni prima del nostro arrivo. Durante il 2017 a causa di ripetute guerre civili con le popolazioni vicine nessuno era potuto venire qui e in tutto il 2018 siamo la seconda coppia di turisti a cui è stato permesso di visitarlo.
I Kayan sono poverissimi: vivono in case di legno senza elettricità, dormono sul pavimento e bevono acqua piovana. Ma sono felici di ciò che hanno e possiedono la ricchezza più grande: l’amore. Per le proprie tradizioni, per la propria famiglia e per la natura che li circonda. Le donne con le orecchie lunghe sono solite portare anche dei pesanti anelli di lacca nera alle ginocchia, che dopo essere stati posizionati non vengono più tolti ed aiutano a prevenire i crampi che potrebbero venire dopo intere giornate passate nei campi.
Come per la tradizione delle “Long Neck Ladies”, anche questa tradizione non si sta più tramandando alle nuove generazioni e attualmente la più giovane “Long Ears Lady” ha 50 anni.
Il nostro viaggio in Myanmar è giunto al termine! Ringrazio di cuore Swam e l’ente del turismo Visit Myanmar per avermi aiutato a organizzarlo nei minimi dettagli e avermi suggerito di visitare un Paese davvero unico al mondo.
Per non rendere questo post eccessivamente lungo e poco scorrevole, ho deciso di separare i consigli di viaggio. Presto ne uscirà uno dedicato a quest’argomento, con alcune foto inedite… Stay tuned!
2 comments
Que maravilla de viaje, y que fotos tan espectaculares. Siempre es un placer entrar a tu blog. Baci e buona settimana !!!
The kids look so cute! Fantastic photos!